Stasera seduta sul mio sgabellino dalla stoffa nepalese rimugino sulla parola. La prima cosa che mi viene alla mente è che la parola è terapeutica. Le parole sono come farmaci ti possono curare o uccidere.
In momenti difficili della mia vita le parole registrate di alcune persone, mi hanno tenuta. Tenuta nel dolore senza che mi scomponessi e spezzassi.
Tenuta come in un abbraccio, come in un perimetro annaffiato a speranza.
La luce nel buio è fondamentale, è quella che permette di passare l’ombra e trovarsi altrove.
Ma se sei nel buio difficilmente vedi la luce. E allora va creata. Accesa. Inventata.
Complesso ma non impossibile.
Puoi Cominciare visualizzando una lampadina del colore che gradisci, un gioco di intermittenza e un interruttore che puoi pigiare per accendere e spengere.
Accendila e spegnila, la luce, con un occhio aperto e uno chiuso.
In mezzo a vento e tempeste.
Tra balene, foche e leoni marini che strillano sulla spiaggia cercando di spostarsi. Senza gambe.
Accendere e spengere la luce nell’intenzione e come fare centro nel bersaglio con la freccia. Immaginati di essere il guardiano del tuo faro. Tu, io, loro siamo il faro e siamo pagati per accendere e spengere la luce ai marinai.
Basta che funzioni.
Se dopo aver creato un tuo sistema elettrico la lampadina si accende è fatta! non ci interessa che giro hai fatto fare al filo ma:
Basta che funzioni come dice Woody Allen nell’omonimo film.
E possiamo accendere la luna, come le stelle, come i lampioni di Parigi, i pesci lampada negli oceani o visualizzare a occhi chiusi una piccola luce che rimane sempre accesa in uno sconfinato deserto. Nell’arido c’è i semi, nell’arido basta una goccia d’acqua per far fiorire tutto.
Parola che curi, cura.
Non è semplice ma è tecnica.
Parola che curi, cura
Sipario
Qui la parlata